ANTIFASCISMO

ANTIFASCISMO E MIGRANTI


MIGRAZIONI

L’inizio del XXI secolo ha segnato l’avvio di un’altra grande ondata di migrazioni forzate con milioni di persone che si muovono ogni anno. Le motivazioni vanno dalla fuga da un Paese di guerra per la ricerca di asilo politico o di accoglienza temporanea, al tentativo di migliorare la propria condizione sociale ed economica (i c.d. “migranti economici”). Secondo i dati dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite, l’UNHCR, sono circa 70 milioni le persone oggi costrette a mettersi in viaggio.

La prima e maggiore corrente di emigrazione internazionale fu generata, a partire dalla fine del XVIII secolo, dalla rivoluzione agraria che cambiò il volto della Gran Bretagna. Oltre agli Usa furono destinazioni privilegiate il Canada, l'Australia e l'Africa del Sud; verso l'America latina, invece, andarono orientandosi italiani, francesi e spagnoli, attratti pure, specie dopo il 1830, dalle coste nordafricane. Nel 1861-1870 solo lo 0,1% degli stranieri giunti negli Stati Uniti proveniva dall'Europa centrale e meridionale; nel 1901-1910 la percentuale era salita al 65%.

La crisi del 1929 spinse a un ulteriore inasprimento del controllo alle frontiere. Si mantenne viva una corrente migratoria verso l'America latina ma furono i flussi temporanei all'interno del continente europeo ad assumere, a partire dal periodo fra le due guerre, una rilevanza via via crescente. Più precisamente, nel caso italiano, si sono susseguiti diversi periodi storici che hanno visto uno svuotamento del Paese.
Il primo periodo è conosciuto come “grande emigrazione”, e ha avuto inizio dopo l’Unità d’Italia, quando 9 milioni di abitanti lasciarono l'Italia, dirigendosi principalmente in America del Sud e in America del Nord (Argentina, Stati Uniti d'America e Brasile) e in Europa, in particolare in Francia. Il secondo periodo è conosciuto come “migrazione europea”, e ha avuto inizio nella metà del XX secolo. A partire dagli anni quaranta il flusso di emigrazione italiano si diresse principalmente in Svizzera e in Belgio, mentre dal decennio successivo, alle mete predilette, si aggiunsero la Francia e la Germania. Lo Stato italiano firmò nel 1955 un patto di emigrazione con la Germania con il quale si garantiva il reciproco impegno in materia di movimenti migratori e che portò quasi tre milioni di italiani a varcare la frontiera in cerca di lavoro. Il terzo periodo è conosciuto come “nuova emigrazione”, e ha avuto inizio al termine del XX secolo, quando il flusso di emigranti italiani all’estero sembrava essere diminuito.
Un dato particolarmente significativo è invece più recente, ove in seguito agli effetti della grave crisi economica che ha avuto inizio nel 2007, dalla fine dell’anno 2010 è ripartito un flusso continuo di espatri, numericamente inferiore ai due precedenti, che interessa principalmente i giovani, spesso laureati, fenomeno noto come "fuga di cervelli". In realtà già dal 2003 il flusso aveva ricominciato ad aumentare, con un conteggio approssimativo che si attestava tra le 50 e le 75mila persone l’anno. Il vero balzo in avanti è però arrivato attorno al 2013, anno in cui fu superata la quota 100mila. Dal 2014, anno in cui si raggiunse una quota di circa 150mila, questi dati hanno continuato a crescere.

La prima destinazione degli emigrati italiani è stata la Germania; a seguire, Spagna, Francia, Svizzera, mete cui si aggiunge l’elevatissimo numero di italiani che ha cambiato continente, volgendo lo sguardo verso gli Stati Uniti e il Canada.

Secondo i numeri della Fondazione Migrantes nel suo ultimo rapporto sono circa 5,3 milioni gli iscritti all’Aire (Anagrafe Italiani Residenti all’Estero), individui che hanno cioè segnalato allo Stato di essere emigrati altrove nel mondo.

Il fenomeno di emigrazione ha interessato storicamente soprattutto il Meridione, da sempre ritenuto fulcro di arretratezza e disoccupazione, ma non solo; il tasso di disoccupazione in Italia (probabilmente la causa principale del fenomeno migratorio all’estero) tra il 2010 e il 2018 è raddoppiato, passando da 362mila famiglie senza neanche un individuo stipendiato, a 600mila, mentre nel Centro-Nord sono 470mila. Inoltre, la situazione pandemica ha ampiamente influito sulla disoccupazione, coinvolgendo più categorie di lavoratori. Ad esempio coloro che prima dell’avvento della pandemia, erano costretti dal sistema al lavoro sommerso si sono ritrovati completamente non tutelati o salvaguardati dallo stato, a dispetto di altre categorie “in regola”, che hanno ricevuto qualche sostegno, sebbene effimero. Tra le categorie più colpite, naturalmente, migranti e giovani.

La difficoltà a trovare uno sbocco professionale nella propria terra spinge i più giovani a cercare fortuna altrove. Negli ultimi 15 anni hanno lasciato il Mezzogiorno 2 milioni di residenti, di cui la metà giovani compresi tra i 15 e i 34 anni di età, quasi un quinto laureati, di cui circa il 16% non ha più fatto ritorno. Inoltre, sin dall’Ottocento le classi dirigenti del Meridione hanno usato la scusa stessa dell’arretratezza per dare legittimazione all’immobilismo sociale, civile ed economico, che si è poi nutrito del voto clientelare e della criminalità organizzata.

Il fatto che poi tali conseguenze si siano abbattute e si abbattano sui giovani, è davvero drammatico. Le statistiche Eurostat del 2020 mettono in evidenza che il tasso di occupazione giovanile in Italia è ben più basso rispetto al resto d’Europa. Nel 2019 si registra un tasso al 18% in Italia, al secondo posto in negativo, superati solamente dalla Grecia, contro il 48% della Germania o addirittura il 65% dei Paesi Bassi.  

Si alimenta così un circolo vizioso per cui meno si lavora, più università sono costrette ad aumentare i costi, più i giovani scappano via. Di certo non si può biasimare chi decide di lasciare il proprio Paese in cerca di fortuna, dato che la migrazione interna all’Italia è sempre esistita: basti considerare l’elevato numero di cognomi meridionali che si possono trovare al nord.

In questa riflessione, è fondamentale considerare che rispetto al passato, in cui gli spostamenti erano di natura puramente economica, nell’ultimo decennio a spostarsi è la gran parte di studenti neo-diplomati, o laureati in cerca di occupazione, segno evidente di un divario tra Nord e Sud, sotto i più vari aspetti, mai colmato e causa primaria ancora oggi di spostamento.

In tutto questo, a perderci sono sempre i giovani che non hanno abbastanza mezzi in partenza da poter decidere dove stare e che lavoro fare, trovandosi davanti a un bivio: restare nel proprio Paese in condizioni di arretratezza o tentare la fortuna. 

Eppure, nonostante le evidenti difficoltà che il Paese sta attraversando, focalizzarsi sulla paura che presto gli islamici o gli africani prenderanno il sopravvento, spazzando via ogni briciolo della nostra cultura, sembra il problema più impellente da risolvere, o forse la strada più breve e semplice per disfarsi di problematiche, a quanto pare, di ben poca rilevanza.
Oltre che per una reale assenza di attenzione nei confronti di avanzamenti importanti in termini di sviluppo del Mezzogiorno, questo accade anche perché fino agli anni ‘70 il migrante era essenzialmente considerato un pioniere, una figura in prevalenza positiva che rendeva lo spostamento funzionale al proprio riscatto sociale. Tale retorica era sostenuta soprattutto dai governi dei Paesi di immigrazione, che utilizzavano gli stranieri come principale fonte di approvvigionamento di manodopera nel settore industriale. Con la crisi del fordismo e il fallimento delle politiche migratorie basate sui modelli francese, tedesco e inglese, i governi si sono resi conto che gli immigrati non sono semplicemente braccia, ma persone, con esigenze di natura welfaristica, sociale, di ricongiungimento familiare, e soprattutto, attraverso le nuove generazioni, rappresentano una nuova sfida in termini di inclusione e di mutamente del sistema di pensiero culturale. Ad oggi, le cosiddette “Seconde generazioni”, ossia l* figl* di immigrat*, nat* in Italia, trovano ancora nel nostro ordinamento giuridico e nella burocrazia, degli ostacoli enormi anche nell’ottenimento del semplice diritto alla cittadinanza, che pure costituisce un passaggio fondamentale all’articolo 15 della “Dichiarazione Universale dei Diritti Umani”.
In tal senso rappresenta una nota positiva il recente tentativo di riportare in ballo il discorso “Ius Soli” e “Ius Culturae”, provvedimenti con grandi potenzialità in termini di integrazione, sebbene l’opposizione degli schieramenti di destra sia ancora forte, a causa di un forte retaggio colonialista.

Le rotte dei flussi migratori sono mutate, per ragioni legate proprio agli effetti a lungo termine del colonialismo e del neocolonialismo, per lo scoppio o l’aggravarsi di guerre e crisi umanitarie, per catastrofi naturali o cambiamenti climatici.
Gran parte delle migrazioni provenienti dall’Africa, continente responsabile solo dello 0,2% delle emissioni di gas serra, sono dovute alla desertificazione data dall’aumento delle temperature, andando a creare all’interno dello scenario migratorio una nuova figura: il migrante climatico, definizione che attualmente non gode di uno status di riconoscimento ufficiale. 

Non esiste più una distinzione netta tra Paesi di immigrazione e Paesi di emigrazione, è possibile solo stilare una classifica - che comunque cambia relativamente ogni anno - dei paesi che accolgono più migranti (e l’Italia è al dodicesimo posto).
I paesi europei non hanno saputo rispondere al fenomeno migratorio attuale, che è irreversibile (anche data l’irrefrenabile crescita demografica differenziata prevista), con politiche di integrazione e inclusione, ma hanno solo adottato provvedimenti di natura repressiva che hanno determinato un aumento degli arrivi irregolari, una maggiore facilità per i migranti di perdere i permessi di permanenza e una maggiore diffusione della criminalità. Gli aiuti pubblici allo sviluppo (vedere “aiuti a casa loro”) costituiscono, in Italia, solo lo 0,22% del PIL, ma nei fatti, tra il denaro effettivamente speso e i contributi che si ritrovano nell’ingorgo di organismi parassitari, arriva ai paesi di destinazione solo lo 0,1% del PIL (molto lontano dallo 0,7% previsto dalle direttive europee); i maggiori aiuti che arrivano ai Paesi terzi provengono dagli stessi migranti mediante rimesse e aperture di Start Up al loro rientro. Alcuni studiosi sostengono che l’adozione di politiche ai limiti del ridicolo in materia di immigrazione sono in realtà finalizzate a diminuire il potere contrattuale dei lavoratori immigrati, che in tal modo sono costretti ad adeguarsi a condizioni di ricattabilità e sfruttamento in ambito lavorativo: il migrante, in questo senso, incarna perfettamente la figura del lavoratore flessibile ai tempi del postfordismo e della marginalità del lavoro. La crisi della politica e in particolare la delegittimazione della stessa in seguito alle inchieste di Tangentopoli e Mani Pulite hanno fatto sì che il dibattito si spostasse dai conflitti di classe ad una sorta di schieramento tra buoni e cattivi, mediante l’intercettazione dei nuovi mutamenti geopolitici.

Nel contesto mondiale, ancora provato dagli strascichi della crisi del 2008, e con le recrudescenze dovute al contesto pandemico attuale, la propaganda politica dei gruppi populisti e sovranisti ha trovato terreno fertile e l’odio è diventato un potente strumento di fidelizzazione delle masse, spesso unite in questi casi contro l’ultimo, il diverso o, in un folle mix delle precedenti categorie, il migrante, identificato come “nemico” e capro espiatorio contro cui canalizzare la rabbia sociale dovuta in realtà ai processi capitalisti. Nel malcontento generale quindi è andata delineandosi questa usanza in cui il consenso elettorale viene acquisito a spese delle classi più deboli. L’esasperazione della percezione del fenomeno alimenta questo circolo vizioso grazie anche all’utilizzo di una comunicazione fuorviante, atta a fomentare quello che è paragonabile ad un effetto placebo.

Su scala mondiale, gli Stati Uniti presentano il maggior numero di immigrati, seguiti da Russia e Germania. La Turchia è il principale paese ospitante rifugiati al mondo, con un totale di 3.6 mln, seguita dalla Colombia,inoltre il Libano risulta essere il Paese con il maggior numero di rifugiati al mondo in proporzione alla sua popolazione interna (1 su 7).

L’Europa ospita, in totale, 6,5 milioni di rifugiati. In questo conteggio sono però inclusi i rifugiati presenti in Turchia, che è un dato che ci pone dinanzi ad una riflessione, se pensiamo che la strategia dell’Unione Europea per lasciare i migranti “fuori dall’Europa” è proprio quella di tenere i rifugiati in qualche modo bloccati in Turchia, strumento che peraltro il regime di Erdogan utilizza per tenere sotto scacco l’UE.

L’opinione pubblica, inoltre, mediamente non distingue i vari status della persona immigrata, spesso considerata erroneamente “rifugiato” o “clandestino”: i migranti che arrivano in maggior numero in Italia sono migranti economici, non rifugiati politici. È quindi vero che molti ospiti mentono circa il loro status; ciò, tuttavia, accade poiché dichiararsi “rifugiat*” è l’unico modo per rimanere in Italia. La classificazione ad oggi più diffusa ed erroneamente (ma intenzionalmente) utilizzata specialmente dalla propaganda politica per indicare un immigrato irregolare è quella di “clandestino”. La legge italiana non è molto chiara al riguardo: il clandestino è una non ben definita figura rappresentata da uno straniero che non presenti regolari generalità presso la frontiera. Tale denominazione non esiste nel Diritto dell’Unione europea. È usata in Italia come conseguenza della legge Bossi-Fini del 2002 che definisce il reato di immigrazione clandestina e si distingue dalla migrazione irregolare in quanto riguarda solo coloro che abbiano violato le regole sull’ingresso nel territorio e non abbiano alcun titolo legale per rimanervi. Non riguarda i richiedenti asilo, chi l’asilo l’ha ottenuto e neanche chi si è visto negare tale richiesta ed è rimasto nel nostro paese. Riguarda quindi solo chi è entrato in modo irregolare e non ha presentato richiesta di asilo. Al miglioramento della condizione dei migranti non ha contribuito nemmeno il decreto Minniti-Orlando, che non ha fatto altro che criminalizzare ulteriormente queste persone, nonché la stangata finale data dai due decreti sicurezza firmati Matteo Salvini. Nessuna nota positiva in questo, nemmeno la tanto propagandata azione del governo Conte II, ove la maggioranza “giallorossa” non ha fatto altro che abbellire i decreti che portano la firma del leader della Lega, anziché predisporre una normativa maggiormente accogliente e volta ad impedire che i migranti vengano automaticamente criminalizzati, o, peggio, che vengano intercettati proprio da quella criminalità organizzata che di questi cavilli si nutre e prospera.

Sebbene formalmente il reato della cosiddetta “immigrazione clandestina” sia formulato per arginare il traffico di esseri umani, il medio-lungo periodo ha dimostrato l’improduttività di questo tipo di regolamentazione. Infatti spesso molti stranieri in pericolo nella propria terra (secondo quanto espresso dalla Convenzione di Ginevra, principale fonte legislativa internazionale insieme con il trattato di Dublino) sono costretti a cercare salvezza tramite canali irregolari. Gli arrivi irregolari, tramite imbarcazioni, sono effettivamente diventati un business di milioni di dollari, che si possono arginare solo tramite canali regolari di collegamento con i Paesi di provenienza, attualmente scarsissimi.

Ciò rappresenta uno dei punti più dibattuti della politica attuale, perché una (viziata) opinione pubblica spesso percepisce come “scafismo” qualsiasi tipo di movimento atto al recupero/trasporto dei numerosi immigrati che sono costretti a cercare asilo in luoghi differenti da quello d’origine, portando così ad una gogna mediatica anche quello operato delle Organizzazioni Non Governative, rovesciandone il significato stesso e criminalizzandole.

L’Organizzazione Non Governativa è indipendente dagli Stati e non ne riceve quindi i fondi. Sono privati finanziati da privati e solo in parte, quelle più grandi, da fondi nazionali. Essa persegue diversi obiettivi di utilità sociale, cause politiche o di cooperazione allo sviluppo.

Il sistema di accoglienza italiano è farraginoso e può essere considerato una vera e propria macchina sistematica generatrice di irregolarità e clandestinità. Ora più che mai, in seguito all’emanazione del Decreto Sicurezza e alla diffusione del sentimento di odio razziale generato a partire dal Governo Salvini-Di Maio, è fondamentale l’impegno dei Comuni e dei luoghi di formazione affinché vengano poste le basi della pacifica convivenza di tutti. Il sistema legislativo in materia di politiche migratorie ha visto il susseguirsi di riforme e decreti che imponevano e impongono folli e ridicole condizioni di soggiorno tali da impedire, nella pratica, la possibilità di una permanenza regolare. Questo innesca un meccanismo sempre più esteso di illegalità: corruzione, lavoro sommerso, sfruttamento, e, talvolta, la stessa criminalità.
Tutto questo è però parte di un sistema che inizia proprio con l’ingresso nel territorio: in Italia, gli ingressi irregolari avvengono perché non esistono canali regolari, quindi l’irregolarità costituisce spesso una tappa obbligata per il migrante. Queste condizioni risultano funzionali all’indebolimento del potere contrattuale dei potenziali lavoratori migranti, che si ritrovano quindi costretti ad accettare qualsiasi condizione pur di sopravvivere all’interno del nostro Paese, così che il migrante diventa il prototipo del lavoratore flessibile piegato dal sistema alla necessità di adattarsi e di essere sfruttato. Il fenomeno migratorio è irreversibile e irreversibilmente coinvolgerà sempre in primis i paesi dell’area mediterranea, quindi l’Italia e in particolare il Sud Italia. Di conseguenza risulta conveniente e ottimale operare nella direzione di politiche di integrazione interculturale e soprattutto lavorativa. Insieme alla formazione scolastica e universitaria, il lavoro regolare, adeguatamente retribuito e adatto alle attitudini individuali, è il primo e più importante passo dell’integrazione, 

Le istituzioni dovrebbero essere garanti delle proprie legislazioni: Costituzione, Carta dei Diritti Fondamentali dell’uomo e Trattati europei in primis, che già presentano disposizioni inadeguate alla portata del fenomeno e di ambigua interpretazione. L’Articolo 10 della nostra Costituzione prevede che l’ordinamento italiano, evidenziando la condizione dello straniero, si conformi al Diritto Internazionale, attraverso Convenzioni e Trattati. La Convenzione di Dublino in particolare è uno dei trattati più importanti a livello europeo in materia d’immigrazione ed impone ai Paesi aderenti l’analisi della richiesta d’asilo politico al Paese di primo approdo. Nonostante le varie modifiche apportate nel corso degli anni sulla normativa, appare però ancora carente su diversi punti, rimarcando le criticità di un fenomeno mal gestito e destinato a crescere. Ciò che più spaventa però è l’assenza dei nostri rappresentanti governativi nei luoghi idonei alla modifica di questi regolamenti, a dimostrazione del poco interesse alla questione, se non per fini meramente strumentali ed elettorali.

La nostra deve essere una Repubblica che miri all’abbattimento di ogni confine, territoriale e sociale, e barriera, che garantisca ad ogni individuo la possibilità di svilupparsi in una società civile.
Ci aspettiamo e pretendiamo un cambiamento reale che parta dall’Europa, dalla Nazione, dal Comune, ma soprattutto dall’Università, che come comunità scientifica e luogo privilegiato di formazione individuale e collettiva, è chiamata a prendere parte e soprattutto posizione nell’attuale dibattito mediatico, nel quale i temi del confine e dell’esclusione prevalgono sulla più urgente e concreta questione dell’integrazione.

ANTIFASCISMO


Parlare di “neofascismo” in Italia al giorno d'oggi sembra quasi un paradosso, eppure è una piaga che, nonostante dovesse essere stata debellata ormai da decenni, continua invece a crescere, mascherata da nuove pratiche e modi di comunicazione, camuffandosi per cercare di non svelare la sua vera natura.

Nelle elezioni del 2018, i Partiti che siedono alla Destra del nostro Parlamento, non raggiunsero la maggioranza: la Lega si confermò con il 15,5%, Forza Italia con l'11% e Fratelli d’Italia col 4,3%. Da qui nacque una coalizione che dall'essere semplicemente in cui riscontrare da subito una comunione di intenti molto pericolosamente affine ad idee di stampo neofascista. I Partiti del centrodestra, al di là dei proclami con cui dissimulano, si possono definire come un unico partito ben posizionato a destra, che del centro accoglie le istanze economiche di stampo capitalista, ma che di fatto sta, da quel momento, mettendo in atto dei processi aggregativi ai limiti dell’atteggiamento cameratesco assecondando e mettendo in atto fenomeni di omolesbobitransfobia, xenofobia e machismo. Infatti, al fine di allargare i loro consensi, attraverso una propaganda che racchiude una aggressiva, subdola e alle volte fittizia narrazione di fenomeni quali, ad esempio, immigrazione e famiglia tradizionale, fanno presa oltre che su chiunque possieda già tale pensiero, anche su coloro che questi ideali di odio distorti li possiedono inconsciamente. Da non sottovalutare il ruolo che il populismo, non appartenente negli anni recenti alla sola area puramente conservatrice, ha avuto nello sdoganare la pericolosità di queste idee all’interno dell’opinione pubblica.

Il retaggio del nostro passato fascista e colonialista, con cui a quasi un secolo di distanza ancora non abbiamo mai fatto realmente i conti, si porta appresso ancora delle conseguenze importanti nella vita di tutti i giorni così come nel dibattito pubblico:: attualmente,tutti quei comportamenti, atti e parole proprie di questa ideologia continuano a essere palesemente ostentati e erroneamente giustificati, come ad esempio è accaduto in alcuni episodi di larga diffusione mediatica. Cercare di ironizzare su alcuni argomenti con riferimenti razzisti tramite parole e gesti, si è dimostrato discriminatorio nei confronti di quelle culture prese di mira e inadeguato al fine prestabilito: fare spettacolo mascherando con la satira - concetto come molti altri tirato in ballo erroneamente quando si cerca semplicemente di sottolineare atteggiamenti xenofobi, eteropatriarcali e quant’altro- una retorica retrograda ed ignorante, mostra quanto nel nostro paese certi modi di pensare siano ancora pratiche non in disuso.

Poiché il linguaggio ha un ruolo fondamentale nella costruzione sociale della realtà, è facile intuire che le figure pubblicamente esposte dovrebbero impegnarsi a condannare tutto ciò che concerne il fascismo, nei loro discorsi e nel loro operato nel complesso. Eppure questo non accade. Tutta la Destra italiana non solo strumentalizza queste tendenze durante i comizi, interventi o dichiarazione sui social media ma le legittima in Parlamento. Caso eclatante è la loro fortissima opposizione alla proposta di legge Zan attuata attraverso una demagogia fondata sulla disinformazione. Tutto pure di non ammettere apertamente che la volontà di contrastare il ddl Zan non è altro che un atteggiamento perfettamente coerente con un'ideologia che ha sempre contrastato tutto ciò che non si uniformasse alla famiglia “tradizionale”, concetto strettamente legato alla concezione cattolica (di uno Stato laico) fortemente rafforzata dall’uso strumentale che ne fece il ventennio fascista.


Proprio perché il fascismo ed il nazifascismo non sono fenomeni che la nostra società ha del tutto superato, questo ultimo periodo ha visto promuovere una proposta di iniziativa popolare che sta riscuotendo un grande successo sul territorio nazionale: la proposta di legge Stazzema.

Dal nome del comune il cui Sindaco se ne è fatto promotore, essa tratta di una proposta di legge per introdurre norme che prevedano pene e sanzioni verso coloro che operano propaganda e diffondono messaggi che richiamino il fascismo ed il nazismo, tra cui la produzione e la vendita di oggetti che rimandano a tali ideologie. Chiunque pubblicizzi i contenuti propri del partito fascista o del partito nazionalsocialista tedesco è punito con la reclusione da sei mesi a due anni. La pena aumenta di un terzo se il fatto è commesso attraverso strumenti telematici o informatici.

Per quanto riteniamo che l’utilizzo della legge sia un passo da adottare unicamente per necessità, crediamo che questo possa costituire un passo in avanti perché, purtroppo, in Italia la mentalità fascista è ancora molto viva, ovunque. E ne siamo tutt* vittime. Bisogna mettere fine alle svastiche dipinte sui muri, alle organizzazioni che si rifanno espressamente al fascismo. E soprattutto combattere l’inquinamento del dibattito pubblico. Da anni assistiamo al proliferare dell’esposizione di simboli che richiamano al fascismo e al nazismo che poiché soggetti ad un uso decontestualizzato e idolatrico, così come in passato, sono pericolosi.

Approvare questa legge è un processo doveroso, nel rispetto della memoria del nostro passato che è un passato di fallimento, di morte, di sgretolamento di ogni diritto volto a costituire una società fondata sulla distruzione delle libertà e la continua vessazione di qualsiasi soggett* non si allineasse agli ipocriti standard delineati dal regime.
Ed è un processo doveroso nella speranza della costruzione di un futuro migliore, più libero dai pregiudizi e dalla mentalità xenofoba, colonialista ed eteropatriarcale che il fascismo si porta appresso ancora oggi.



SUL TERRITORIO


Negli ultimi anni abbiamo più volte fronteggiato la richiesta di riconoscimento in Università

avanzata da Blocco Studentesco, giovanile di CasaPound, partito di dichiarato stampo

fascista.
Già nel dicembre 2016, abbiamo espresso la nostra contrarietà al riconoscimento di Blocco Studentesco, sottoscrivendo una lettera protocollata e sottoscritta da varie realtà locali. Nel gennaio 2018, in seno al Consiglio degli Studenti, Link Lecce vota contro il riconoscimento di Icaro, che aveva al suo interno membri dell’associazione Blocco Studentesco.


Il 3 aprile del 2019, come associazione antifascista, abbiamo lanciato un appello all’intera comunità accademica, dichiarando con forza che i neofascisti non devono avere spazio all’interno della nostra comunità accademica, tramite l’appello “Unisalento Antifascista”.

Con lo stesso animo, a causa delle recrudescenze fasciste sul territorio e di pericolose posizioni nell’ambito dell’opinione pubblica tutta, continueremo a sostenere la nostra richiesta all’amministrazione ed alla comunità accademica tutta di non ammettere all’interno dei luoghi universitari l’ingresso di associazioni o gruppi che siano portatori di una propaganda che si rifaccia manifestamente ad elementi neofascisti, o che, a prescindere dal colore politico, non si dichiarino apertamente antifascisti, in linea con i tutti i principi costituzionali, che la nostra organizzazione e l’Università sposano e condividono. 


Il 29 maggio 2019 si svolse la seduta del Consiglio degli Studenti in cui si discusse del riconoscimento delle associazioni studentesche, tra cui Blocco Studentesco e Azione Universitaria, per cui l'organo era chiamato ad esprimere un parere non vincolante. Il parere fu negativo: la decisione dell'organo sul riconoscimento di Blocco Studentesco si è basata su un documento in cui Link Lecce elencava tutti gli atti violenti o esplicitamente richiamanti l'ideologia fascista perpetrati dalle suddette associazioni. Il lungo documento è il frutto dell’enorme lavoro dei Consiglieri e dell’Associazione Lunghe ricerche volte affinché l’Ateneo fosse fornito di una documentazione adeguata per respingere l’ingresso di fascisti e neofascisti all’interno dei luoghi del sapere.

Presso la sede della Provincia di Lecce, abbiamo inoltre sottoscritto il Protocollo d’Intesa per l’istituzione di un Osservatorio Provinciale per contrastare la proliferazione del  fenomeno neofascista.
L’Osservatorio si compone di attivisti che svolgono l’incarico a titolo gratuito e sarà istituito in seno alla Presidenza della Provincia con l’obiettivo di prevenire e arginare l’espansione di fenomeni d’ispirazione neofascista attraverso un monitoraggio e una denuncia costante di attività, eventi o episodi che rivelino connotazioni razziste e xenofobe.

Il Coordinamento Provinciale Antifascista, costituito il 18 Giugno 2019 dalle organizzazioni firmatarie che già lavoravano cercando di vigilare democraticamente sui principi della costituzione, garantisce un controllo capillare del territorio, consentendo poi all’Osservatorio di varare dei report periodici sullo stato della democrazia nel territorio, dai grandi centri passando per le periferie fino ai piccoli comuni della provincia.


GLI OBIETTIVI


Riteniamo necessario continuare a lavorare costantemente sia all’interno dell’Università che all’esterno, per combattere con le nostre azioni a partire dai luoghi del sapere l’avanzata del un pensiero xenofobo, fascistoide, razzista e discriminatorio che si cela ormai dietro le realtà politiche più impensabili. Per fare questo, bisogna riportare al centro del dibattito pubblico la conoscenza come strumento di riscatto collettivo. Non possiamo lasciare che vengano compromessi gli spazi democratici e sociali, pertanto, oggi più che mai, è necessario alzare un muro invalicabile nei confronti di chi pretende di essere legittimato, nonostante in contrasto con i principi fondamentali della nostra Costituzione.


Nel contesto attuale, territoriale e non solo, sappiamo però che tali movimenti godono del supporto di numerose istituzioni pubbliche e la complicità di esponenti delle autorità locali. Ciò significa che il nostro impegno deve essere costante nel portare avanti le nostre istanze affinché i luoghi di cultura e della cittadinanza rimangano il centro dei valori democratici affermati dalla nostra Costituzione, che prevede come inammisibili gli atteggiamenti di intolleranza e violenza su cui si basa la “cultura” fascista e neofascista.
Bisogna lottare costantemente per impedire la i movimenti neofascisti, con la loro cultura razzista ed eteropatriarcale, siano in alcun modo legittimati, qualsiasi sia la maschera dietro la quale essi si nascondono, sia fuori che dentro l'università, ed è inevitabile e improrogabile, la necessità di rimettere in piedi un’opposizione sociale vera e forte che coinvolga tutti e tutte.
Siamo antifascisti e lo ribadiamo con orgoglio. Siamo antifascisti perché le logiche della sopraffazione e dell’uomo forte non ci appartengono. Siamo antifascisti perché la nostra Costituzione si fonda sulla Resistenza il cui sacrificio è spesso offuscato da una narrazione tossica piena di disinformazione. Essere antifascisti significa credere profondamente nella lotta contro la prevaricazione, la corruzione e un sistema che ci avvelena ancora oggi, ad un secolo di distanza.
Come sindacato studentesco, affermiamo con forza che non deve essere spazio per ideologie fasciste, neofasciste ed affini né in Università né altrove, per la lotta, per una società giusta, per la Resistenza.